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Campo di Marte del 01-11-2018

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Ogni tanto succede che, in questa nostra Italia scombinata, si riaccenda qualche fiammella speranzosa di una ripresa della battaglia delle idee; un qualcosa, cioè, che è fondamentale per un buon mantenimento della democrazia e della politica democratica. Sembra che, soprattutto sulla sinistra, possa riaprirsi un vero confronto; tuttavia, mancando la sinistra, l’iniziativa si consuma in qualche intervista, articolo di giornale e tutto finisce. Il motivo è semplice, dal momento che si identifica per sinistra quanto sinistra non è: vale a dire, il Partito democratico, nato sulla parola d’ordine lanciata da Walter Veltroni dalle pagine de “la Repubblica” nel 1997: «Il socialismo è morto e la sinistra è finita». Il cane, così, si morde la coda inutilmente poiché, non essendoci il presupposto fondativo del discorso, non vi può, naturalmente esservi, nemmeno un suo seguito logico. All’inizio dell’estate Nadia Urbinati, su “la Repubblica” del 9 giugno, ha scritto un articolo dal titolo Se la sinistra dimentica il socialismo. Ammesso, per un attimo, che la sinistra ci sia ed essa venga identificata nel PD, è una contraddizione in termini anche il domandarsi il perché un soggetto nato proprio per superare la sinistra, la sua storicità e quanto essa gli consegna in termini identitari e di rappresentanza sociale, possa aver dimenticato la sinistra. Chi non ha lo ha mai posseduto è impossibile possa averlo dimenticato. L’adesione del PD al Partito del Socialismo Europeo – un fantasma che si aggira nel vecchio continente – è solo il frutto di uno spregiudicato tatticismo nemmeno tanto coerente con la forma, considerato, poi, che i parlamentari europei del PD hanno sì fatto gruppo coi deputati socialisti a condizione che il gruppo si chiamasse dei “Socialisti e dei democratici”. Come si vede tutto torna. Così, invece di aprire quella battaglia cui si accennava, abbiamo assistito alla solita corsa sul posto cui, naturalmente, ha partecipato anche Walter Veltroni con un lungo articolo su “la Repubblica” del 29 agosto. In esso, a fronte della massiccia ondata di destra che ha investito l’Italia e che sta dilagando in tutta l’Europa, si dichiara che è scoccata «l’ora di una nuova sinistra». Mettendo a dura critica il partito da lui tanto voluto e pure dimentico del segnale funebre del 1997, Veltroni ha avuto il coraggio – e guardate che ce ne vuole – di scrivere: «La sinistra non deve dimenticare chi è, ne deve anzi avere orgoglio. Non sarà inseguendo la destra [il riferimento a Matteo Renzi è chiarissimo] o, in questo caso il populismo che si eviterà il peggio». Aggiungendo più avanti che essa deve «innovare la sua identità e avere rispetto della sua storia. Si possono, ed è giusto sostituire generazioni di dirigenti. Io mi sono presto fatto da parte per mia scelta e ho iniziato una nuova vita, come era corretto facessi». Sono parole che si commentano da sole. La conclusione è che «l’idea di un soggetto politico aperto del campo democratico sia più che mai necessaria». Constatato che, a differenza dell’Urbinati, l’articolo latita sulla questione del socialismo, ogni riferimento in merito manca e si finisce per tornare al punto di partenza. Ossia a un PD, ci sembra di capire, eviscerato dal renzismo. Insomma, partiti da un equivoco sostanziale si finisce per tornarvici, e buonanotte ai suonatori. Inoltre, ci domandiamo, può un soggetto quale il PD, che ha dimostrato la propria impossibilità addirittura a essere un partito, essere un “partito socialista”? 

Il socialismo, come ha scritto Carlo Rosselli, “è o può anche non essere”; il problema è se lo si vuole perseguire e, naturalmente, ciò implica necessariamente il fissare quale socialismo si voglia. A quali principi, valori e prassi esso si ispiri, e qualunque possa essere il suo profilo, se più socialista o più socialdemocratico, da un punto non si può prescindere: dal suo essere alternativo al capitalismo, manifatturiero o finanziario che sia. Oggi il capitalismo è prevalentemente finanziario, per cui ogni intenzione socialista postula un socialismo socialista, essendo di fatto finita la stagione del capitalismo manifatturiero che ha visto il realizzarsi del compromesso tra capitale e lavoro, poiché vi erano le condizioni economiche per una redistribuzione della ricchezza. In periodi di forte incertezza economica segnata, per di più, dalla crisi finanziaria in cui versano i vari Paesi democratici che sono a maggioritaria base capitalistica, cui si aggiungono gli effetti che sul mondo di lavoro produce la globalizzazione e con la pressione dovuta all’immigrazione, la politica del welfare non è quasi più praticabile; occorrerebbe, per evitare gli squilibri decoattivi che squassano la coesione sociale, un soggetto il quale, saldo nei principi di libertà e di democrazia, chiami alla lotta le masse sempre più numerose che rimangono indietro in nome di un socialismo nuovo. Solo così si può pensare che in Italia rinasca una sinistra propriamente detta; essa è sicuramente un campo largo, ma se non rinasce il soggetto socialista non c’è sinistra che tenga. 

Potremmo dire che, rispetto a ciò, tutto il resto è noia, se non fosse che la questione socialista e quella della sinistra riguardano anche quelle della libertà, della democrazia e della giustizia sociale. La crisi del PD è altro, ma Veltroni non lo ammette; se non se ne rende conto è grave, se invece preferisce sorvolare allora ne è corresponsabile; noi propendiamo per la corresponsabilità che, visto il personaggio, è sicuramente di tipo primario. 

Il Critico