• Biblion Edizioni

Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962- 2012)

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  • Autore: Giampietro Berti
  • Anno: 2016
  • Pagine: 590
  • Prezzo: € 35.00

Prosegue l’interesse per la storia dell’anarchismo da parte della collana “Storia, politica, società” di Biblion edizioni con il nuovo, corposo libro di Giampietro Berti dal titolo Contro la storia. Il volume prende le mosse dalla schizofrenica situazione nella quale si trova oggi l’anarchismo, diviso tra il suo insuccesso storico e il suo successo teorico «qualora si tenga presente che uno spezzone non secondario della cultura politica (…) ha utilizzato-saccheggiato a piene mani, e senza alcun pudore (…) molte teorie, intuizioni, schemi di pensiero e vere e proprie genialità, prodotti dal pensiero anarchico e libertario» (p. 6). Questa constatazione ha due importanti conseguenze per lo studio di Berti. In primo luogo legittima dal suo punto di vista un approccio basato sulla storia delle idee, ponendo in secondo piano la “azione militante” se non per l’eccezione di brevi parentesi (per es. pp. 115-119). Perciò, il volume è «un libro su libri, un libro su articoli, un libro su saggi», la cui analisi si fa in certe parti “rassegna descrittivo-obiettiva” forse fin troppo dettagliata (p. 8). Inoltre, Berti dichiara sin dalle prime pagine di non avere l’intenzione di tracciare la storia dell’anarchismo italiano degli ultimi cinquant’anni nel suo complesso, bensì di limitarsi a prendere in considerazione solamente quella componente che, a suo parere, sarebbe la più importante per le «fondamentali iniziative editoriali e culturali» e la più significativa per aver delineato nell’ambito di un lungo percorso «sempre più accidentato e problematico» un approccio capace di «intrecciare i grandi problemi dello stesso anarchismo con il pensiero politico ed economico contemporaneo», affrontando «domande non più eludibili e non più accantonabili» (pp. 6-7). Secondo lo studioso, questa componente coincide con quello che ruotò per alcuni anni intorno alle esperienze dei Gruppi giovanili anarchici federati (GGAF) e dei Gruppi anarchici federati (GAF). La sua parabola viene suddivisa in tre fasi: Dal materialismo meccanicistico al problematicismo gnoseologico (1962-1979); Dal problematicismo gnoseologico all’immaginario sociale (1979-1996); Dall’immaginario sociale alle domande senza risposta (1986-2012) (pp. 537-538). Dunque, lo studio prende le mosse dal biennio 1962-1963 poiché il rapimento del viceconsole spagnolo Elias e la fondazione della piccola rivista “Materialismo e Libertà” significarono secondo Berti rispettivamente il momento di «resurrezione rivoluzionario-militante dell’anarchismo italiano» e la sua «rinascita teorica» (p. 25). Dal gruppo che anima “Materialismo e Libertà” scaturiscono nel 1965 i GGAF, promotori di due importanti e fortunate creazioni grafico-pubblicistiche come l’A cerchiata e Anarchik (p. 57). I GGAF si trasformano nel 1970 in GAF, i quali a loro volta chiudono la loro parabola in quanto organizzazione nel 1978. Secondo la ricostruzione di Berti, dai partecipanti a questa esperienza si dipanano una serie di esperienze fondamentali per la storia e l’elaborazione teorica dell’anarchismo. Nel 1971 nasce “A” rivista, la cui «lettura ci permette di seguire l’evolversi del processo generale dell’anarchismo italiano degli ultimi quarant’anni, in tutte le sue molteplici manifestazioni» (p. 126). Tra il 1974 e il 1979 viene inoltre pubblicata “Interrogation”, secondo Berti «la più importante rivista anarchica internazionale degli ultimi settant’anni» (p. 171). Nel 1976 viene fondato il Centro studi libertari-Archivio Pinelli (attivo ancora oggi), a stretto contatto con la casa editrice Antistato prima (1975-1986) e Elèuthera poi (1986-oggi). Le loro iniziative e pubblicazioni, insieme all’esperienza di “Volontà” tra il 1980 e il 1996 (anno della sua chiusura), costituiscono secondo Berti il tentativo di creare una nuova cultura anarchica e libertaria (p. 325) o, meglio, di promuovere una “rifondazione” di tale cultura per renderla all’altezza dei tempi (p. 474). Si tratta di un percorso proseguito successivamente solo per certi versi dalla rivista “Libertaria”. A più riprese Berti sostiene tuttavia l’estraneità di gran parte dell’anarchismo italiano a questo percorso (p. 261 e p. 389). Su tutto il volume di Berti si stagliano due elementi di cui tenere conto. La sua, infatti, è un’osservazione partecipata, nel senso che lo studioso è stato parte attiva delle vicende narrate, tanto che frequentemente s’incontra nel corso della narrazione il nome di Nico Berti, il suo pseudonimo “militante”. Infine, l’analisi mi sembra avvenga all’insegna di quello schema interpretativo più vasto già approfondito da Berti stesso nel libro Libertà senza rivoluzione (Lacaita, 2012). Secondo Berti, con gli anni Sessanta-Settanta sarebbe terminata la storia del movimento operaio e socialista, iniziata un secolo prima, e con gli anni Ottanta sarebbe invece iniziata una svolta “epocale” (p. 329) «sbrigativamente etichettata neoliberista» (p. 402) che avrebbe portato al tracollo dell’URSS. La fine del sociali146 

 

smo reale e del terzomondismo coinciderebbe con la conclusione di un ciclo storico iniziato nel 1789 e sancirebbe il fallimento dell’idea per la quale la volontà politica sia in grado di costruire una nuova società (p. 543). La vittoria del capitalismo avrebbe sancito il trionfo del paradigma della modernità, contraddistinto secondo Berti dall’inscindibile trinomio modernità-secolarizzazione-capitalismo. Da ciò deriverebbe la necessità di svolgere battaglie prima di tutto culturali all’interno di questo paradigma (p. 549). La svolta epocale descritta da Berti ha condizionato in modo determinante anche l’anarchismo, nella misura in cui avrebbe in passato partecipato al movimento operaio e socialista, illudendosi che la classe operaia costituisse il soggetto politico rivoluzionario (p. 80). Dunque, Berti afferma che oggi l’anarchismo si troverebbe “fuori dalla storia”, una enclave marginale e autoreferenziale (p. 84). Per questa ragione mi sembra che il volume di Berti non sia solamente un saggio storico, ma costituisca anche un’analisi partecipata e a tratti decisamente polemica che cerca esplicitamente di promuovere un determinato punto di vista sulle prospettive dell’anarchismo. Proprio per questo, forse una maggiore sinteticità narrativa avrebbe aiutato a focalizzare meglio i principali snodi storiografici e argomentativi in vista di un dibattito che probabilmente il volume susciterà. 

David Bernardini